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Lo sfruttamento lavorativo

Lo sfruttamento lavorativo

Introduzione

Lo sfruttamento lavorativo ha sempre assunto forme e dimensioni diverse a seconda dei tempi, dei contesti e dei Paesi, delle esigenze economiche, dei settori e delle vittime. Non soltanto, come potremmo facilmente pensare, nel settore agricolo ma in diversi settori del mercato: dall’abbigliamento al lavoro domestico e di assistenza, dal delivery ai grandi magazzini di smistamento merci, dalla ristorazione al settore alberghiero. Sono solo alcuni esempi degli ambiti in cui quotidianamente uomini, donne e minori vengono sfruttati, in condizioni che, a seconda dei casi, sono giustamente considerate nuove forme di schiavitù. Le vittime sono sia persone con la cittadinanza del Paese in cui avviene lo sfruttamento che migranti, europei e non. Questo documento si concentrerà soprattutto sullo sfruttamento lavorativo a danno di uomini e donne migranti, sia in considerazione della mission del Comitato 3 ottobre, che in virtù del fatto che nei confronti di queste persone, molto spesso portatrici di particolari vulnerabilità, lo sfruttamento è più aggressivo e intenso. Da questo punto di vista, è importante sottolineare come il target delle vittime sia cambiato negli ultimi anni: non soltanto più stranieri privi di documenti e quindi irregolari e invisibili, ma anche titolari di permessi di soggiorno, richiedenti asilo e rifugiati. Pur consapevoli della complessità del fenomeno e della sua difficile e totale emersione, il presente documento vuole fornire a studenti e studentesse uno strumento sintetico e semplice – seppure non esaustivo – di analisi dello sfruttamento lavorativo, delle sue diverse forme e caratteristiche, dei fattori che possono creare lo sfruttamento e delle conseguenze sulla vita delle vittime, nonché di alcuni settori dove si manifesta. Infine, a chiusura del documento, si propone una attività laboratoriale e di ricerca sullo sfruttamento lavorativo che studenti e studentesse possono svolgere nella propria classe.

Lo sfruttamento lavorativo e le sue forme

Elaborazione grafica di ILO - Organizzazione Internazionale del Lavoro

Cercare di trovare un’unica e ufficiale definizione di sfruttamento lavorativo non è semplice in quanto questo grave fenomeno cambia a seconda dell’epoca, del Paese e della sua normativa, dal contesto sociale e criminale, dai flussi migratori. Nonostante tale difficoltà, le ragioni alla base dello sfruttamento lavorativo sono sempre state ben individuate e chiare: la riduzione dei costi della manodopera per aumentare il profitto del datore di lavoro. Per ottenere questi risultati il lavoro sfruttato si caratterizza da posizioni diverse e molto distanti tra lavoratore e datore, il quale impone condizioni di lavoro non adeguate. Da queste considerazioni, riprendendo anche la definizione fornita dall’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), lo sfruttamento lavorativo si verifica in tutte quelle situazioni di lavoro che differiscono in modo significativo dalle normali condizioni di lavoro in riferimento a vari elementi. La violazione degli standard lavorativi, infatti, può riguardare molti e diversi elementi che vanno poi a caratterizzare, singolarmente o insieme, lo sfruttamento lavorativo:

a. retribuzione: i lavoratori ricevono una retribuzione molto inferiore rispetto alla quantità, qualità e tipologia di attività lavorativa effettivamente svolta, ma anche rispetto a quanto previsto dalla normativa in materia di stipendi;

b. orari di lavoro: i lavoratori sono costretti a lavorare per un orario giornaliero maggiore rispetto a quanto consentito dalla legge o previsto dai contratti di lavoro, solitamente senza momenti di pausa se non per consumare un pasto; c. giorni lavorativi e riposi: i lavoratori sono costretti a lavorare da lunedì a domenica, senza alcun giorno di riposo settimanale e senza la possibilità di poter godere di ferie;

d. sicurezza: l’assenza di misure e strumenti di sicurezza sia per quanto riguarda i luoghi di lavoro che l’attrezzatura del lavoratore (mascherine, guanti, elmetti, scarpe antinfortunistiche);

e. igiene e salute: luoghi di lavoro in condizioni igieniche-sanitarie non adeguate e pericolose per la salute dei lavoratori;

f. mansioni: lo svolgimento di attività degradanti e pericolose o l’utilizzo di macchinari senza una adeguata formazione dei lavoratori;

g. sorveglianza: sistemi e strumenti di sorveglianza costante sui luoghi di lavoro da parte dei datori, sia personalmente che con attrezzature video;

h. minacce e violenza: la sottoposizione dei lavoratori a forme di abusi, minacce e violenze sia verbali che fisiche;

i. abitazioni: vivere in abitazioni messe a disposizione dai datori e annessi o facenti parte dei luoghi di lavoro, che sono degradati e prive di condizioni igieniche e sanitarie adeguate.

Questi elementi, singolarmente o insieme, caratterizzano il fenomeno del grave sfruttamento lavorativo. Nel caso a questi elementi si aggiunge anche la non volontarietà dello svolgimento dell’attività lavorativa, eseguita sotto coercizione o minacce dirette di violenza o forme più subdole di coazione, allora si parla di lavoro forzato.

Storicamente queste forme di sfruttamento lavorativo avvenivano, nella maggior parte dei casi, senza alcun contratto di lavoro e per tale motivo si è parlato – e continua a parlarsi – di lavoro nero. Chiamato anche “sommerso” o “irregolare”, questo tipo di lavoro si caratterizza, dunque, per l’assenza di qualsiasi riconoscimento in termini di contratto al lavoratore. Negli ultimi anni, purtroppo, gli elementi dello sfruttamento si sono verificate anche in altri tipi di rapporto denominate lavoro grigio. In questi casi ai lavoratori viene rilasciato un contratto di lavoro che però non rispecchia le effettive condizioni di lavoro: se il contratto prevede 4 o 8 ore di lavoro giornaliero, il lavoratore ne svolge 10 o 12; se il contratto prevede lo svolgimento del lavoro dal lunedì al venerdì, il lavoratore lavora effettivamente dal lunedì alla domenica, senza alcun giorno di riposo settimanale. Sono solo alcuni esempi che caratterizzano il lavoro grigio che, grazie anche a una rete di collaboratori dei datori di lavoro, si sta sempre più sviluppando. Tale forma “grigia”, infatti, dai datori è favorita rispetto a quella del lavoro “nero”, in quanto riduce il rischio di controlli da parte delle forze dell’ordine o di altre autorità statali, rendendo, conseguentemente, più difficile l’emersione di questo fenomeno e la tutela della vittima di sfruttamento lavorativo.

Molte volte, invece, lo sfruttamento lavorativo si verifica all’interno di un altro fenomeno che è quello della tratta delle persone. In questi casi persone migranti, attraverso l’inganno, la minaccia o l’uso della forza o altre forme di coercizione, vengono reclutate, trasportate, trasferite nei nostri Paesi per poter essere sottoposte poi a condizioni di sfruttamento lavorativo e lavoro forzato.

Lo sfruttamento lavorativo, infine, può servirsi per essere attuato del “caporalato”, ovvero di una forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera lavorativa. Questo sistema illegale si avvale di figure, definite appunto caporali, che svolgono un ruolo di intermediari tra imprese/datori e lavoratori, i quali saranno sottoposti poi a condizioni di sfruttamento lavorativo. In altre parole, i datori si affidano ai caporali per reclutare lavoratori e organizzare materialmente la forza lavoro. Oltre al reclutamento e all’organizzazione pratica delle attività lavorative, il caporale, che riceve i soldi direttamente dalle imprese trattenendone una parte per sé, si occupa anche di pagare i lavoratori. Quest’ultimi, però, oltre a ricevere una retribuzione molto inferiore rispetto alla quantità di lavoro effettivamente svolta, si vedono sottrarre altre somme dal caporale per il pagamento di qualsiasi servizio “offerto”: trasporto sul luogo di lavoro, alloggio nei ghetti o in capannoni, acqua e panini durante il lavoro e, in alcuni casi, addirittura per la ricarica della batteria del cellulare. Il caporalato è un fenomeno molto complesso, organizzato spesso in vere e proprie reti criminali o mafiose e che vede coinvolti sia italiani che stranieri. Molte volte, infatti, i caporali si servono di connazionali dei lavoratori per poter meglio controllare e sfruttare quest’ultimi. È diffuso su tutto il territorio italiano ed è presente in vari settori lavorativi: agricoltura, attività manifatturiere, logistica e magazzinaggio e altri ambiti. Il settore agricolo è quello che maggiormente prevede pratiche di caporalato durante tutto l’anno: a seconda della stagione della raccolta, i caporali spostano migliaia di lavoratori da un posto all’altro del Paese. Dalla raccolta di pomodori in estate nelle regioni del sud, alla vendemmia in autunno nelle regioni del nord del Paese.

I fattori di rischio che possono creare situazioni di sfruttamento

Tendopoli di San Ferdinando, RC – Foto di MEDU, Medici per i Diritti Umani)

Molte volte, se una persona, che sia un uomo, una donna o un minore, si sottopone a quelle condizioni di sfruttamento lavorativo, sicuramente non ha altre alternative valide per sottrarsi a tali situazioni, o per situazioni personali o perché costretta con la forza. In ogni caso, la caratteristica che accomuna le forme di sfruttamento lavorativo è l’approfittamento da parte del “datore” di una situazione di estrema vulnerabilità o di uno stato di bisogno della vittima.

A seconda delle persone e del contesto, ci sono molti elementi che possono creare o aggravare quelle situazioni di vulnerabilità o di bisogno e che, conseguentemente, favoriscono situazioni di sfruttamento lavorativo. Proprio per tale motivo, questi elementi possono essere considerati dei “fattori di rischio” che la comunità e le istituzioni devono tenere in considerazione per prevenire il crearsi di situazioni di sfruttamento lavorativo.

A titolo esemplificativo, si segnalano alcuni dei più ricorrenti “fattori di rischio”, che possono verificarsi sia singolarmente che insieme.

Lingua

La mancata conoscenza, da parte del lavoratore, della lingua impedisce la conoscenza effettiva delle condizioni lavorative. Non poter leggere, per esempio, il contenuto di un contratto di lavoro, per non conoscenza della lingua o per l’assenza di una traduzione, limita la consapevolezza del lavoratore dei propri diritti, delle proprie garanzie e tutele. L’assenza di informazioni contenute in un eventuale contratto sugli orari lavorativi, il riposo settimanale, la retribuzione, crea di fatto i presupposti per una situazione di sfruttamento lavorativo.

Permesso di soggiorno

Per un cittadino straniero il possesso o meno di un permesso di soggiorno può determinare situazioni di sfruttamento lavorativo. Da una parte, infatti, l’assenza di un permesso di soggiorno impedisce, per legge, alla persona di avere un regolare contratto di lavoro, costringendola, dunque, a lavorare “a nero”. Dall’altra parte, però, avere un permesso di soggiorno, non sempre, tutela da situazioni di sfruttamento. Per esempio, essere in possesso di un permesso di soggiorno precario e di breve durata, oppure in fase di rinnovo unito a eventuali ritardi nel rilascio, spinge molti datori di lavoro a non stipulare regolari contratti, oppure a stipulare contratti parziali e a tempo determinato che, di fatto, non rispecchiano l’effettivo lavoro svolto dalla persona, creando situazioni di “lavoro grigio”. Anche la necessità di rinnovare il permesso di soggiorno con un contratto di lavoro, può portare la persona a decidere di accettare qualsiasi condizione di lavoro e quindi di sfruttamento, in assenza di altre alternative, rendendo di fatto il lavoratore ricattabile da parte dello sfruttatore: accettare le condizioni lavorative e quindi rinnovare il documento, oppure rimanere senza contratto e quindi senza documenti che consentono alla persona straniera di continuare a vivere regolarmente in quel Paese.

Sistemazione abitativa

Purtroppo per molte persone straniere poter avere una propria abitazione, anche in affitto, è estremamente difficile e, in alcuni casi, questa possibilità è addirittura preclusa. Questo può dipendere da molti fattori: poche risorse economiche della persona e affitti troppo alti; non possesso o precarietà del permesso di soggiorno che può precludere un contratto di affitto; la richiesta di dimostrare e fornire garanzie economiche ai proprietari delle case, richieste sempre più spesso da quest’ultimi; discriminazione da parte sia dei proprietari che di agenzie immobiliari, che si rifiutano di dare un’abitazione a persone straniere. In presenza di queste situazioni, la persona è costretta a trovare soluzioni alternative che purtroppo determinano e si inseriscono all’interno di fenomeni di sfruttamento lavorativo. In alcuni casi, per esempio, la persona sarà costretta a vivere in situazioni abusive, come case occupate o grandi luoghi di accoglienza non ufficiale, che rappresentano luoghi di reclutamento da parte di sfruttatori e caporali. Altre volte, invece, il lavoratore è inserito in “dormitori” messi a disposizione dallo sfruttatore, che si trovano all’interno degli stessi luoghi di lavoro e che sono prive di adeguate condizioni igieniche e sanitarie, facendo vivere la persona in condizioni del tutto degradanti. In altri casi, infine, i lavoratori sono costretti a vivere in ghetti e baraccopoli, gestite spesso dagli sfruttatori e dai caporali, che servono proprio a garantire una presenza di lavoratori a portata di mano. I lavoratori sono costretti a vivere in situazioni che mettono in pericolo la salute e la vita stessa delle persone, in baracche di cartone o altro materiale, privi di elettricità, di acqua corrente e di impianti igienici. Nonostante ciò, i lavoratori, spesso, sono costretti a pagare questi alloggi, con somme sproporzionate ed alte, attraverso il proprio lavoro. Dagli esempi ricordati, è evidente come, l’impossibilità di accedere a una adeguata e dignitosa abitazione, favorisce l’intervento di sfruttatori e caporali che, nel fornire situazioni poco dignitose, vanno ad incrementare le condizioni di sfruttamento lavorativo.

Trasporto dei lavoratori

Molte volte, soprattutto nel settore agricolo, i luoghi di lavoro sono distanti dalle abitazioni dei lavoratori e sono difficilmente raggiungibili, per l’assenza di adeguati collegamenti del trasporto pubblico. Per superare queste difficoltà alcuni lavoratori agricoli provano a spostarsi con biciclette anche se, in molti casi, questa scelta può rivelarsi pericolosa. Gli spostamenti in bici, infatti, avvengono spesso in orari notturni (la mattina prima dell’alba o la sera tardi) per strade periferiche o di campagna non illuminate o comunque poco illuminate, esponendo i lavoratori a rischi concreti di investimento da parte di auto, furgoni o camion. Inoltre, negli ultimi anni, sono aumentati gli episodi di violenza e aggressione nei confronti di lavoratori in bici sia da parte di organizzazioni criminali che di una parte della comunità locale. Queste difficoltà di spostamento hanno favorito l’intervento e l’intermediazione della criminalità che, in molti posti d’Italia e soprattutto nel settore agricolo, ha creato una sorta di monopolio della mobilità dei lavoratori da parte di intermediari, sfruttatori e caporali. I lavoratori, conseguentemente, per necessità, costrizione o sicurezza personale, vengono trasportati da reti criminali, andando così a generare o aumentare forme di sfruttamento, in virtù del pagamento richiesto in varie forme: sia con alte somme di denaro, sia con lo svolgimento di attività lavorativa parzialmente o totalmente non retribuita

Debito

Molte volte alla base di situazioni di sfruttamento lavorativo c’è la necessità da parte del lavoratore di pagare un debito il prima possibile. L’origine del debito può essere varia. In alcuni casi il debito viene contratto nel Paese di origine dal lavoratore o dalla sua famiglia per poter affrontare le spese del viaggio migratorio. La contrazione di questi debiti avviene con criminali o usurai del posto e prevede alti tassi di interesse. Nel caso in cui il debito non dovesse essere pagato nei tempi concordati, il migrante in caso di rientro a casa o i familiari rimasti nel Paese di origine, possono subire intimidazioni, minacce e violenze o, in alcuni casi, perdere la propria abitazione data in garanzia del debito stesso. Per questi motivi la persona ha necessità e urgenza di iniziare a pagare e saldare il debito contratto il prima possibile, mandando soldi alla propria famiglia. Tale necessità immediata espone la persona al rischio di essere sfruttato, di dover lavorare in situazioni poco dignitose e prive di tutele e garanzie. Lo stato di bisogno della persona, in questi casi, è utilizzato dal datore per imporre condizioni di lavoro che, sebbene rappresentino grave forme di sfruttamento, il lavoratore non potrà rinunciare. In altri casi, invece, il debito si inserisce all’interno del fenomeno della tratta degli esseri umani, finalizzata proprio allo sfruttamento lavorativo. La persona, con l’inganno o la promessa di un vero e regolare lavoro, o attraverso l’utilizzo di varie forme di coercizione, viene portata da un trafficante che fa parte di una rete criminale internazionale nei Paesi europei. La rete criminale organizza il viaggio, sia da un punto di vista logistico che economico. Una volta giunto a destinazione, la vittima dovrà ripagare il debito contratto direttamente con lo svolgimento della propria attività lavorativa, senza poter percepire nessun stipendio. Molte volte, la somma da pagare aumenta con il passare del tempo rispetto a quella chiesta in origine: lo sfruttatore, infatti, aggiungerà al debito varie somme, come interessi, costi di alloggio o beni primari. La persona, in questi casi, non può sottrarsi allo sfruttamento per paura di subire violenze e maltrattamenti o per timore che queste vengano subite dalla famiglia rimasta nel Paese di origine, divenendo vittima, pertanto, di lavoro forzato.

Alcuni settori dello sfruttamento lavorativo

Foto di Maurizio Debanne – l’interno di un casolare in provincia di Potenza, ottobre 2019. Tratta dal rapporto Vite a giornata di Medici Senza Frontiere

Quando si parla di sfruttamento lavorativo, lavoro nero o caporalato, si pensa subito ai campi di pomodori o di arance. In realtà e purtroppo, il fenomeno dello sfruttamento nel corso degli anni si è sempre più diffuso non soltanto nel settore agricolo ma anche in altri ambiti. Con molti di questi ambiti ci confrontiamo quotidianamente, quando mangiamo una arancia o un’insalata di pomodori, quando ordiniamo il cibo a domicilio, quando compriamo una t-shirt o ordiniamo un prodotto su internet. Sono tutti ambiti nei quali, proprio per l’uso quotidiano che ne facciamo, come cittadini e cittadine possiamo intervenire concretamente ponendo attenzione a piccoli gesti quotidiani. Proprio per questi motivi, a titolo del tutto esemplificativo, si indicano alcuni di questi settori dove sono state registrate e denunciate forme di sfruttamento lavorativo.

Settore agroalimentare

Il settore agroalimentare è quello che sicuramente rappresenta le maggiori problematicità in tema di tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Anche in virtù della breve durata dell’attività lavorativa, per lo più di tipo stagionale, in questo settore è più facile trovare situazioni e gravi forme di sfruttamento lavorativo. Può essere utile sottolineare che il fenomeno, purtroppo, non si limita ad una sola stagione, come quella estiva per esempio, ma si sviluppa in varie aree per tutto l’anno: dalla raccolta dei pomodori a quella degli ortaggi invernali, dalla raccolta delle olive alla vendemmia autunnale, dalla raccolta di frutta di stagione a quella costante nelle serre. In tutti questi settori molto spesso si verificano varie forme di sfruttamento lavorativo: assenza di contratti regolari o presenza di contratti parziali e non veritieri (lavoro “grigio”), retribuzioni sotto la soglia minima prevista dalla legge, tempi giornalieri di lavoro fino a 12 ore, assenza di pause giornaliere o settimanali, condizioni di lavoro non sicure, contatto non protetto con sostanze nocive e pesticidi, costante controllo, abusi e violenze nei confronti dei lavoratori. I lavoratori, inoltre, sono esposti quotidianamente a temperature estremamente alte d’estate ed estremamente basse d’inverno: proprio per queste cause, nel corso degli anni, molti lavoratori hanno perso la vita mentre lavoravano nei campi. Sebbene i lavoratori nel settore agricolo siano per la maggioranza persone del posto, nel corso degli ultimi anni la percentuale delle persone migranti sfruttate è aumentata. La condizione di vulnerabilità degli stranieri (non conoscenza della lingua, necessità di guadagnare, rinnovo dei documenti) rappresenta, infatti, un fattore rilevante per la proposta di offerte di lavoro sottopagate e degradanti. Inoltre, è proprio in questi settori, che la rete criminale del caporalato è più diffusa. La presenza dei caporali nel settore agroalimentare è favorita dalla necessità da parte dei produttori di avere forza lavoro immediata e flessibile, specie quando i prodotti sono deperibili in breve tempo. I caporali, infatti, sono flessibili, veloci ed economici per i produttori nella ricerca di braccianti rispetto ai canali legali ed istituzionali di occupazione. Inoltre, per un produttore o proprietario agricolo è molto più semplice parlare con un caporale piuttosto che rapportarsi quotidianamente e direttamente con i lavoratori. La presenza del caporalato, naturalmente, peggiora, non soltanto le situazioni di vulnerabilità dei singoli lavoratori, ma anche le condizioni di sfruttamento lavorativo, sotto vari aspetti. Innanzitutto da un punto di vista economico. Nei casi di sfruttamento, in generale, i produttori vedono nel costo della manodopera e nella sua riduzione, l’anello di tutta la filiera agroalimentare dove poter aumentare il margine di guadagno. I braccianti vittime dello sfruttamento, che normalmente lavorano tra le 8 e le 12 ore al giorno, spesso tutti i giorni della settimana, possono guadagnare tra i 22 e i 30 euro al giorno, cioè il 50% in meno del minimo legale stabilito. Altri, invece, vengono pagati “a cottimo”, ovvero in base alla quantità di prodotti raccolti durante la giornata, con lavoratori che guadagnano tra i 3 e le 4 euro per ogni 300 kg di pomodori raccolti*.

Anche nei casi in cui il lavoratore abbia un regolare contratto di lavoro a tempo pieno, questo non lo tutela comunque da forme di riduzioni arbitrarie della retribuzione. Sotto quest’ultimo aspetto, rilevante è la presenza dei caporali, ai quali i lavoratori sono costretti a pagare tutta una serie di “servizi”. Per ogni giornata di lavoro, i braccianti, infatti, sono costretti a pagare al caporale il trasporto sul campo, l’acquisto di cibo e acqua non reperibili diversamente e comunque a prezzi maggiorati rispetto ai negozi. A fine giornata, quasi un terzo della retribuzione giornaliera del bracciante è consegnata ai caporali. Inoltre, la presenza dei caporali aumenta drasticamente il potere di controllo quotidiano sui lavoratori e, conseguentemente, anche gli episodi di abusi, minacce, violenze e maltrattamenti nei confronti dei braccianti. Molti braccianti, in assenza di altre alternative, per tutto il periodo lavorativo, sono costretti a vivere in ghetti, baraccopoli e tendopoli, in condizioni degradanti, senza i servizi essenziali e in pessime condizioni igieniche sanitarie. Sono accampamenti precari costruiti con qualsiasi materiale, soprattutto infiammabile, il che, purtroppo, nel corso degli anni ha provocato incendi e vittime. Infine, è importante sottolineare come negli ultimi anni, la presenza di lavoratrici nel settore agroalimentare sia aumentata e continua ad aumentare. Le donne vengono, infatti, richieste ed utilizzate soprattutto in ambito ortofrutticolo che richiede una maggiore abilità nel maneggiare frutti delicati come, ad esempio, l’uva e le fragole. Le lavoratrici subiscono forme più gravi di sfruttamento lavorativo rispetto agli uomini: hanno un guadagno minore rispetto agli uomini del 20-30 % e sono più esposte a violenze e abusi sessuali soprattutto negli accampamenti.

Settore tessile e abbigliamento

Anche il settore tessile e abbigliamento presenta numerosi casi di sfruttamento lavorativo. Da una parte, infatti, può capitare che un grande marchio dell’abbigliamento o della moda, appalti alcuni settori di produzione (accessori, stampe su tessuti, cuciture…) a imprese medio-piccole che, all’insaputa o meno delle grandi aziende, sfruttano i propri lavoratori. Dall’altra parte, sono direttamente autonome aziende medio-grandi che sottopongono i propri lavoratori a condizioni di sfruttamento. Che si tratti dell’una o dell’altra ipotesi, le condizioni di sfruttamento lavorativo sono pressoché le stesse. In primo luogo, possono verificarsi situazioni sia di lavoro “nero” che lavoro “grigio”. In quest’ultima ipotesi, ad esempio, solitamente viene stipulato un contratto di lavoro che prevede 4 ore lavorative giornaliere, dal lunedì al venerdì. In realtà, che si sia in presenza di un contratto parziale o in assenza di esso, il lavoratore è costretto a lavorare fino a 12 ore al giorno e per tutta la settimana. Non sono previste pause durante il giorno, se non quella strettamente necessaria per consumare un pasto nello stesso luogo di lavoro, non sono previsti riposi settimanali, né periodi di ferie. In secondo luogo, i lavoratori ricevono retribuzioni che sono enormemente inferiori rispetto a quanto previsto dalla legge, ma anche rispetto alla quantità di lavoro effettivamente svolta quotidianamente. Inoltre, nella maggior parte dei casi, i lavoratori lavorano in luoghi privi di adeguati strumenti e meccanismi di sicurezza, sia personali (occhiali, mascherine, scarpe antinfortunistica) che locali (cavi elettrici in sicurezza, uscite di emergenza). I lavoratori sono esposti a sostanze tossiche e devono utilizzare dei macchinari senza aver ricevuto una preventiva ed adeguata formazione, sia in termini di sicurezza che di funzionamento. Sono numerosi, infatti, i casi di infortunio, soprattutto alle mani e alle braccia, che spesso provocano delle vere e proprie invalidità con conseguenze a lungo termine sulla vita del lavoratore. Si pensi a quei lavoratori che subiscono un infortunio e sono privi di un regolare contratto: in questi casi, per loro, sarà difficile avere delle forme di assistenza economica. Infine, spesso i lavoratori, o una parte di essi, vivono in “dormitori” messi a disposizione dagli sfruttatori, che sono collegati con i luoghi di lavoro, o addirittura all’interno degli stessi. Sono sistemazioni prive di condizioni igienico-sanitarie adeguate, che costringono le vittime a vivere in condizioni inumane e degradanti e che mettono in pericolo la vita stessa dei lavoratori. A causa di incendi divampati nelle fabbriche di notte, i lavoratori che erano nei dormitori interni hanno perso la vita, come successo il 1° dicembre 2013 a Prato dove, a seguito di un rogo, morirono sette lavoratori cinesi.

Settore domestico e di assistenza

Sempre più la cura della propria abitazione o l’assistenza a familiari anziani o che necessitano di cure è affidata a persone esterne. In generale questo tipo di lavoro è svolto per più dell’80% da donne e di queste circa il 70% sono cittadine straniere. In assenza di adeguati supporti statali economici per l’assistenza domiciliare, sempre più le famiglie si affidano a collaboratrici straniere alle quali offrono livelli di retribuzione e tutela più bassi di quelli previsti dalla legge. Nella maggior parte dei casi il lavoro domestico e/o di assistenza è stato svolto e viene svolto senza alcuna forma di contratto e quindi “a nero”. Negli ultimi tempi, invece, sta aumentando anche in questo settore il lavoro “grigio”: le lavoratrici hanno un contratto di lavoro che però prevede degli orari giornalieri e settimanali decisamente inferiori rispetto alla quantità di lavoro pretesa e prestata. In entrambi i casi, le lavoratrici ricevono una retribuzione inferiore sia rispetto a quanto previsto dalla legge che rispetto alla quantità di lavoro effettivamente svolto. Spesso, inoltre, non sono previsti giorni di riposo o giorni liberi durante la settimana. La situazione di sfruttamento è decisamente peggiore e più impregnante nei casi in cui la lavoratrice vive direttamente nell’abitazione luogo di lavoro. In questi casi, infatti, da una parte, c’è un elevato rischio di pretesa da parte del datore di lavoro continuativo di assistenza 24 ore su 24 e di svolgimento di mansioni diverse rispetto a quelle che dovrebbe svolgere. Dall’altra parte, la presenza costante nelle mura domestiche aumenta la sproporzione del rapporto di potere tra il datore e le lavoratrici che può produrre una escalation di assoggettamento e violenze. Non sono rari, infatti, i casi di abusi anche sessuali, violenze, ricatti e maltrattamenti da parte dei componenti familiari nei confronti della lavoratrice. A ciò si aggiunge la manifestazione di alcuni disturbi psicofisici delle lavoratrici legati alla tipologia, alle modalità e alla quantità di lavoro svolto: mal di schiena, ansia, insonnia, depressione, sindrome di burnout. Negli ultimi anni, inoltre, all’interno di questo sistema di sfruttamento, si sono inserite forme di caporalato: finte agenzie lavorative o connazionali delle lavoratrici che gestiscono la manodopera domestica, con sottrazione di parte della retribuzione, con l’utilizzo di violenze, minacce, ricatti e, in alcuni casi, di sequestro dei documenti. Lo sfruttamento lavorativo in questo settore, proprio perché si svolge in uno spazio domestico e isolato, è difficilmente penetrabile dai controlli delle autorità, favorendone pertanto la realizzazione nelle sue diverse forme.

Settore della logistica

La logistica riguarda un complesso sistema aziendale che può comprendere almeno tre settori e, conseguentemente, tre categorie di lavoratori: facchini e addetti ai magazzini, autisti (trasporto a lunga percorrenza) e corrieri (trasporto a breve percorrenza). Ordinare un prodotto, ad esempio attraverso una piattaforma digitale, comporta il suo trasporto da una città ad un’altra, lo scarico, lo smistamento e il carico nei magazzini e, infine, la consegna a domicilio. L’aumento degli acquisti on line, dell’e-commerce, ha contribuito a rendere più critiche le condizioni lavorative all’interno del settore della logistica. Acquistare on line un prodotto che entro 24 o 48 ore dovrà essere consegnato presso l’abitazione del consumatore, comporta, naturalmente, l’accelerazione delle attività lavorative in tempi molto ristretti, la necessità di avere costantemente a disposizione manodopera (autisti, facchini, corrieri…). Tali necessità ed esigenze di mercato hanno comportato, anche nella logistica, un aumento delle situazioni di sfruttamento lavorativo nei tre principali comparti del settore: autisti, facchini e magazzinieri, corrieri. Si tratta di forme di sfruttamento di lavoro “nero” e di lavoro “grigio”, dove le attività lavorative effettivamente svolte non rispecchiano il contenuto e le condizioni contrattuali. Forme di sfruttamento che si intensificano quando le grandi aziende decidono di appaltare e delegare i servizi a piccole imprese, cooperative, che aggravano le condizioni lavorative delle persone e che a volte sono addirittura legate o riconducibili a reti criminali. Sono stati denunciati, infatti, violazioni per quanto riguarda i ritmi e gli orari lavorativi. La necessità di effettuare un numero di consegne in un determinato arco temporale, comporta, infatti, ritmi di lavoro poco sostenibili, massacranti e pericolosi (si pensi alla rapidità e velocità degli spostamenti di un corriere per le strade di una città). Pur di rispettare il numero delle consegne da preparare nei magazzini e recapitare a domicilio, il tempo dei turni lavorativi si è dilatato fino a 10 o 12 ore giornaliere. Non sempre, inoltre, sono rispettati i momenti di riposo obbligatorio giornaliero, o le soste con riferimento agli autisti (i quali devono necessariamente giungere nei magazzini entro un certo tempo per scaricare la merce). Inoltre, anche da un punto di vista retributivo, spesso i lavoratori vengono sottopagati rispetto alla effettiva quantità di ore svolte, o non si vedono riconosciuta la dovuta maggiorazione per i turni notturni. Altro elemento riguarda la sicurezza e la salute dei lavoratori: non sempre, infatti, sono previsti adeguati sistemi e strumenti di protezione personale o di sicurezza, ad esempio, nel carico e scarico delle merci. Molti lavoratori hanno anche denunciato l’uso di intimidazioni, ricatti minacce e, a volte, vera e propria violenza psicologica. Tali abusi sono maggiormente diffusi ai danni dei lavoratori stranieri, più ricattabili per la necessità di avere un contratto di lavoro – a qualsiasi condizione – per poter mantenere e rinnovare il proprio permesso di soggiorno.

*#FilieraSporca. (2016), Spolpati. La crisi dell’industria del Pomodoro. Tra sfruttamento e insostenibilità. Rapporto sulla terza campagna. http://www.filierasporca.org/wp-content/uploads/2016/11/Terzo-Rapporto-Filierasporca_WEB1.pdf

PROPOSTA DI ATTIVITÀ IN CLASSE

A conclusione di questo breve approfondimento sulle varie forme di sfruttamento lavorativo, si propone una attività di ricerca e laboratoriale che studenti e studentesse possono svolgere nella propria classe.

Obiettivi

❚ Riconoscere, analizzare e approfondire le forme di sfruttamento lavorativo;

❚ Conoscere il fenomeno dello sfruttamento lavorativo sul proprio territorio;

❚ Raccogliere dati ed elaborare un documento di sintesi sui casi di sfruttamento lavorativo;

❚ Condividere con il resto della scuola o la comunità il lavoro di ricerca;

❚ Sensibilizzare la comunità locale, scolastica e non, al tema dello sfruttamento lavorativo.

Materiale

❚ Mini toolkit sullo sfruttamento lavorativo;

❚ Articoli di giornali, quotidiani o altre riviste locali.

Durata

❚ attività che può strutturarsi in un tempo medio-lungo a seconda delle esigenze e delle ore a disposizione.

Svolgimento

❚ Lettura toolkit sullo sfruttamento lavorativo: studenti e studentesse leggono il documento sullo sfruttamento lavorativo in classe, discutendo e confrontandosi su eventuali spunti di riflessione emersi;

❚ Attività di ricerca: studenti e studentesse, per un periodo o numero di giorni stabiliti insieme al docente, ricercheranno articoli di giornali e riviste locali, cartacee o on line, riguardanti notizie di situazioni di sfruttamento lavorativo che sono state rilevate nella propria città o nella propria regione;

❚ Analisi delle informazioni raccolte: studenti e studentesse sono divisi in gruppi da massimo 6 persone e analizzano i casi di sfruttamento lavorativo trovati. In particolare, faranno attenzione ad evidenziare alcuni elementi, come ad esempio: settore dello sfruttamento, vittime, sfruttatori, indici dello sfruttamento (orario, retribuzione …);

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